Sport/Calcio. Come ci si difende dell’ansia?

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Molti giocatori (ma anche gli allenatori) si difendono dell’ansia:

  • razionalizzando (trovando delle spiegazioni in ciò che sta succedendo);
  • negando (“oggi non sento niente”, “non mi importa nulla della partita”, “la squadra avversaria è scarsa”);
  • convertendo nell’opposto (scherzando, ridendo);
  • ritualizzando (sedendosi sempre allo stesso posto nello spogliatoio o in panchina, legarsi le scarpe con un procedimento particolare);
  • proiettando (vedendo negli altri la propria ansia “i miei compagni sono ansiosi, devo rassicurarli”);
  • isolandosi (evitando gli altri, non parlando);
  • convertendo tutte le situazioni ansiose sul proprio corpo (tutta la sintomatologia psicosomatica descritta precedentemente).

Se nel giocatore professionista (o allenatore professionista), lo stato ansioso persiste e si ripresenta sempre con maggiore frequenza ed intensità, lo stesso può ricorrere a farmaci (psico-farmaci, caffè, alcool, nicotina, mariyuana, cocaina), o a sostanze che stimolano (eccitanti, miorilassanti, sedativi) l’ansia stessa (le droghe pesanti sono molto diffuse tra i giocatori dell’N.B.A.).

I fattori che provocano l’ansia: “stressori”

Alla fine del pre‑campionato, l’allenatore deve avere ben chiaro lo stato di salute psichica dei propri giocatori (preparazione psicologica), oltre alla preparazione fisica, tecnica e tattica. Nella sua valutazione, deve individuare i diversi fattori che hanno contribuito e/o contribuiscono ad elevare o abbassare la potenziale forza psico-fisica dei giocatori, tenendo conto, tra le altre cose, dell’età, personalità, carisma, livello di preparazione, tipo di squadra, obiettivi da raggiungere.

I fattori “stressori” si possono dividere in:

“stressori” legati alla partita;

  • “stressori” non legati alla partita.

Gli “stressori” non legati alla partita possono essere:

  • il cambiamento di squadra o di città (il processo di adattamento richiede un certo periodo di tempo);
  • la diversità razziale e/o culturale (dominanza o eccessiva dipendenza);
  • il rapporto con i genitori e i parenti (nei bambini e negli adolescenti il rapporto con i genitori influisce fortemente sulla prestazione; pressioni, incitamenti, identificazione, proiezione dei genitore sul giovane giocatore, creano un clima di tensione incredibile);
  • il rapporto con lo studio o con il lavoro (al lavoro si è stanchi, si va male e scuola);
  • il rapporto con l’allenatore (un allenatore troppo ansioso può “inondare” la squadra di ansia e con i bambini e gli adolescenti gli effetti sono devastanti; l’unica soluzione è che l’allenatore se ne accorga e che sia aiutato a prenderne consapevolezza);
  • l’ambiente societario (organigramma, obiettivi, mancanza di sponsor, stipendi in ritardo, mancanza di palestra, numero insufficiente di palloni);
  • metodi di allenamento (una preparazione inadeguata facilita le manifestazioni ansiose dei giocatori, in quanto si sentono poco protetti sul piano tecnico, tattico e atletico).

 

Gli “stressori” legati alla partita possono essere:

  • la paura di non essere capace: il compito dell’allenatore è quello di accettare il giocatore con le sue ansie, senza ridicolizzarlo, permettere ai giocatori di esprimerla, proteggere il giocatore ansioso e rincuorarlo in caso di errore;
  • la paura di non essere in grado di controllare l’evolversi della partita: alcuni giocatori sono stimolati della partita, altri (in special modo i bambini che giocano a Minibasket, Esordienti e Allievi) vivono la partita come un gioco, in quanto sanno che giocheranno tutti e che avranno tutti le stesse possibilità, che si sono allenati regolarmente durante fa settimana, che possono contare sui compagni di squadra, che il loro Istruttore è sereno anche in caso di sconfitta. Ad un giocatore senior può dare sicurezza, invece, conoscere alle perfezione gli schemi di attacco e di difesa della propria squadra e quelli della squadra avversaria, essersi allenato bene durante la settimana, poter scegliere l’avversario sul quale difendere;
  • il rapporto con le regole: la partita ha delle regole e bisogna rispettarle (regolamento di gioco). I bambini spesso non le conoscono, a volte non arrivano gli arbitri, l’Istruttore deve insegnare ai bambini le regole in modo progressivo (nello stesso modo come insegna i fondamentali di gioco), non deve imporle, deve proporle ed accettare gli errori (infrazioni, falli). L’allenatore deve aiutare il giovane giocatore ad accettare le norme e l’autorità (arbitro), sgombrando il campo dai “persecutori” e dalle “vittime”;
  • il rapporto con il pubblico: gli spettatori sono un elemento molto importante nello sport e nei contendenti, la presenza del pubblico dà la carica, ma a volte è anche un peso; per i bambini, a volte, la presenza dei genitori in tribuna è un peso;
  • l’importanza della vittoria: da non ricercare a tutti i costi;
  • il saper accettare con serenità la sconfitta.

Ognuno di noi manifesta una sindrome ansiosa soggettiva, con una sintomatologia molto individuale.

Lo sportivo (atleta, tecnico), prima di essere taleè una persona ed è in questa persona, che noi dobbiamo capire l’origine della sua ansia.

Più una persona è insicura, più la fiducia in se stessa sarà scarsa e sarà probabile che nella sua vita vi sarà una componente ansiosa costante: ansia da tratto. Quando si prova ansia solo in determinate situazioni specifiche, si parla di ansia da stato, che si lega particolarmente agli stimoli ambientali.Martens nel 1977, ha inserito questi due tipi di ansia nell’ambito sportivo, distinguendo tra:

‑    ansia di stato competitiva: ogni singolo atleta vive prima di una competizione una grande ansia, che si manifesta sia a carattere cognitivo (aspettative negative verso se stessi, il risultato della gara, la propria prestazione), che somatico (modificazioni fisiche con l’avvicinarsi della gara);

– ansia di tratto competitiva: che dipende dalla predisposizione del giocatore a percepire la gara con timore e tensione.