Report attorno al problema “ansia” nel mondo dello sport

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Per iniziare questo viaggio di esplorazione in un campo evidentemente minato già di per sé, partiremo con il tentare di rispondere ad una domanda ben precisa : l’ansia può aiutare a vincere una partita? Molti allenatori dicono di sì. Ad esempio l’allenatore Mike D’Antoni, al giornalista che gli chiedeva, quale fosse il segreto del suo perdurante successo con la squadra di pallacanestro Benetton Treviso, ha risposto: “Prima di ogni partita ho sempre paura………”. In realtà, la reazione ansiosa sottende complesse reazioni a carico del sistema muscolare, scheletrico, neurovegetativo e neuro-endocrino, che vanno sotto il nome di attivazione. Sul versante psicologico, secondo la capacità dell’Io di gestire l’evento (es. la partita), si registrano reazioni funzionali, nevrotiche e psicotiche. Sentire ansia è utile e dà la misura di come non si è perfetti, ma limitati, aiuta nel percepire meglio la realtà e spinge verso la consapevolezza. Il torneo, la partita, il campionato, la prima partita di Minibasket per il bambino, i play‑off, rappresentano momenti in cui l’Io del giocatore è da una parte minacciato (“posso giocare male”, “non segno”, “non valgo molto”) e dall’altra è eccitato da una ulteriore possibilità di migliorarsi (“voglio vincere”, “voglio battere il mio difensore”, “voglio provare a …..“) e di mettersi in evidenza. La reazione ansiosa di tipo nevrotico si differenzia per l’intensità e il “vissuto” del giocatore. La genesi risiede nella struttura della personalità dell’atleta che presenta, generalmente, un Io debole ed indifeso nell’affrontare le richieste interiorizzate dall’individuo (“devo essere il più forte tiratore, rimbalzista, schiacciatore, rigorista, palleggiatore, passatore, difensore”) e/o le minacce dell’ambiente (le frustrazioni dell’allenamento, il rapporto con l’allenatore, con i compagni, con gli avversari, con gli arbitri, con il pubblico).Il giocatore tende così a sottovalutarsi o al contrario a sopravvalutarsi. Il suo rapporto con la realtà è mediato da fantasticherie e il rapporto con gli altri si caratterizza rigidamente in dipendenza, simbiosi, in distacco o isolamento, in aggressività e in bisogno di dominio. Reazioni di tipo psicotico, molto rare tra i giocatori di alto livello, si presentano invece con una certa frequenza, in forma episodica tra gli adolescenti ed esprimono la grossa difficoltà dell’Io di continuare ad avere un contatto con la realtà (minacciosa e difficile), come può apparire in una partita importante e giocata male. Così come ci sono differenti reazioni psichiche, anche a livello psico-fisiologico, si registrano modificazioni differenti da persona a persona. L’attivazione fisica ed emozionale, che è definita “arousal”, determina la qualità della prestazione: un basso livello di “arousal” o uno troppo alto, influenzano negativamente la prestazione stessa. La massima prestazione si ottiene con un livello di attivazione intermedio, ottimale per la persona.La difficoltà per l’Istruttore, l’Allenatore, come per lo psicologo, sta nel discriminare quale possa essere il giusto livello di attivazione per il giocatore: per raggiungerlo e mantenerlo né troppo alto, né troppo basso, prima e durante la partita. “Cosa fare e come fare” (prendere delle decisioni), è compito della preparazione psicologica del giocatore e comporta diversi interventi da parte dell’allenatore, del preparatore atletico, dello psicologo e dei compagni di squadra.I tornei e le partite amichevoli pre‑campionato, rappresentano per l’allenatore l’occasione giusta per valutare i diversi livelli di attivazione che hanno i giocatori e programmare, di conseguenza, gli interventi più idonei e funzionali per raggiungere l’attivazione ideale. Come un allenatore può accorgersi di cosa accade ai suoi giocatori nei giorni precedenti, poco prima della partita e durante la stessa? Un allenatore, per accorgersi di cose accade, deve semplicemente osservare i suoi giocatori come persone (e non solo dal punto di vista tecnico) e ciò lo aiuta a vedere come l’ansia si manifesta, coinvolgendo l’intero organismo (a livello somatico, psicologico e interpersonale). Quando un giocatore è ansioso, intervengono modificazioni di tutti i sistemi, con presenza, tra l’altro, di noradrenalina e adrenalina nelle urine, ma questo non può essere verificato senza l’aiuto del medico. Tenendo presente che si registrano manifestazioni ansiose differenti per ogni giocatore (o allenatore), con un gamma vastissima di sintomi, chi somatizza, potrebbe presentare:

  • un aumento della tensione dei muscoli scheletrici (difficoltà nei movimenti, poco coordinazione, crampi, etc.);
  • tremori, difficoltà di linguaggio, contrazioni;
  • un’elevazione o una caduta della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa (palpitazione, rossore, pallore, svenimento, tachicardia);
  • disturbi dell’apparato gastro-intestinale (nausea, vomito, costipazione diarrea);
  • sudorazione eccessiva;
  • dilatazione delle pupille;
  • respirazione affannosa;
  • inappetenza;
  • Accanto a sintomi così vistosi, lo stato ansioso comporta una serie di sensazioni sgradevoli, di pensieri, di fantasie, di agitazioni, la cui percezione da parte dei giocatore (e dell’allenatore), aumenta ancora di più il disagio e l’apprensione: può mostrarsi teso e spaventato come in presenza di un pericolo imminente e sconosciuto. ’aspetto più doloroso del fenomeno, è la sensazione di impotenza nell’affrontare ciò che sta accadendo.