Per la finale Germania e Argentina a Rio de Janeiro in Brasile era stato utilizzato un nuovo pallone personalizzato. Si trattava del Brazuca Final Rio realizzato da Adidas. I colori erano ispirati alla squadra di casa (verde e oro) e c’erano delle varianti rispetto al modello presentato a dicembre dell’anno precedente e in più i nomi delle squadre. Rispetto ai modelli di palloni utilizzati nelle competizioni internazionali c’era stata un’innovazione strutturale data dalla particolare simmetria formata da sei pannelli identici che davano una forma ottaedrica. Tutto questo per migliorare le qualità di grip, il controllo del pallone, la stabilità e l’aerodinamica in campo. Due studiosi della National University di Taiwan, Yuan-Jia Fan e Bih-Yaw Jin, hanno mostrato come dietro questi palloni ci fosse una molecola particolare, un fullerene a simmetria ottaedrica. Secondo i loro studi con questa molecola si possono ottenere diverse forme poliedriche che potranno avere un utilizzo anche per altre applicazioni al di là del calcio. Di questi tempi Brazuca non poteva non avere spazio sui social ed infatti era il primo pallone che aveva un account twitter con 3,25 milioni di followers. Il suo profilo è quello che è cresciuto più rapidamente durante il mondiale accumulando 2,751 milioni di seguaci. Il calcio come si sa non è una scienza esatta ma la fisica può aiutare a capire cosa accade durante una partita. Certo che sentire parlare dello sport più popolare d’Italia in termini di teoria degli urti, moto turbolento e coefficiente di restituzione fa effetto, soprattutto dal momento che i protagonisti non sono certo consapevoli delle implicazioni fisiche di quanto vanno facendo mentre disputano un incontro. Nicola Ludwig, fisico e ricercatore all’Università Statale di Milano, si è invece ritagliato un ruolo da esperto in materia di fisica applicata al calcio, e lo ha cementato tramite un paio di fortunati programmi sportivi da cui ha tratto il piacevole e interessante libro “La scienza nel pallone” (Zanichelli). Ludwig, coadiuvato dal giornalista sportivo Paolo Colombo, ha tenuto una conferenza al Festival della Scienza di Genova in cui ha raccontato cosa si cela in termini di massa, velocità, aerodinamica e teoria dei fluidi dietro le prodezze dei calciatori. Andiamo con ordine iniziando dal pallone.
Il cuoio. Innanzitutto la palla non è una sfera ma una figura geometrica scoperta da Archimede,l’icosaedro (un solido costruito a partire da poligoni regolari, in questo caso un esagono); o almeno lo è dal 1970 quando nei Campionati del Mondo giocati in Messico fece la sua comparsa il Telstar. Da allora c’è stata molta innovazione sull’attrezzo nella convinzione che l’ideale sarebbe stata una sfera perfetta. Si è così giunti all’alba del Mondiale del Sudafrica nel 2010 a un oggetto – il Jabulani – che era quanto più sferico possibile. Funzionava però pessimamente: le traiettorie erano imprevedibili, i calciatori (soprattutto i portieri) si lamentarono molto e si decise così di rendere il pallone un po’ più imperfetto dal punto di vista geometrico – ma migliore da quello balistico – inserendo delle micro-zigrinature che ne aumentassero la stabilità. Se ci si pensa un attimo viene subito alla mente che la pallina da tennis, pelosa, e quella da golf, ammaccata, non sono sferiche: peli e ammaccature aiutano la palla a creare il moto turbolento necessario alla prevedibilità della traiettoria. Nel calcio però si è pensato che riuscendo a rendere il pallone perfettamente sferico si sarebbe migliorato il gioco. Ma non fu così e l’evoluzione successiva allo Jabulani – l’Adidas Finale 11 – accentuò le zigrinature ritornando a forme che ricordano di più l’icosaedro”. Insomma la palla è un corpo tozzo, privo di particolari doti aerodinamiche che per volare si incastra nell’aria più che penetrarla.
Il portiere. Il numero uno deve avere soprattutto una qualità: i riflessi. Se il tempo di reazione umano medio è tra i 50 e i 70 millisecondi, il portiere reagisce in 30. Inoltre compie gesti umanamente assurdi come lanciarsi a massima potenza verso un palo di ferro. Il che è insensato poco meno di una rovesciata, in cui il giocatore fa quanto di più innaturale ci sia: si butta di schiena, indifferente a millenni di evoluzione che ci hanno insegnato a cadere mettendo le mani davanti. Altra caratteristica fondamentale è l’abitudine dell’occhio, e cioè la capacità di prevedere la traiettoria di un tiro o di un cross, che si acquisisce con l’esperienza. Altra legge fisica, supportata dalla statistica, è quella che spiega perché – non solo a termini di regolamento – è meglio se durante la rincorsa del calcio di rigore il portiere resta fermo a centro porta: perché para più del doppio di tiri rispetto a quando anticipa il tuffo (33 per cento contro 15 per cento). La sua reattività eccezionale gli consente nel tempo in cui la palla va dal dischetto in porta (circa mezzo secondo) di capire la direzione in 30 centesimi di secondo, e di volare attraversando uno dei due lati nei restanti 20. Inoltre grazie alla comprensione del linguaggio del corpo può avere alcune indicazioni su dove sta per calciare l’avversario, soprattutto basandosi sull’ampiezza della falcata precedente il tiro: se è lunga il giocatore incrocia il tiro, se è breve lo apre. L’attaccante come arma dinanzi a un portiere esperto ha la finta, con cui maschera fino alla fine le proprie intenzioni, oppure quel 28 per cento di superficie che il portiere non è in grado di raggiungere con un balzo (gli angoli in alto e in basso).
Colpi di testa. Per comprendere cosa accade durante un colpo di testa serve invece la Teoria degli Urti. La testa è dieci volte più densa della palla, quindi è come se quest’ultima rimbalzasse contro un muro. Ma se il giocatore è in movimento, ancora più se in tuffo, è come se il muro si muovesse e per questo l’impatto può accelerare la velocità del rimbalzo. Velocità, massa, densità dei corpi sono variabili che permettono di capire anche l’entità degli urti non regolamentari. La celebre testata di Zidane a Materazzi nel corso della finale dei Mondiali 2006, ha avuto una forza pari a 160 kg nel suo impatto con il petto del difensore azzurro. “ Ma secondo me Materazzi un pochino ha simulato – sorride Ludwig –160 kg sembrano tanti ma conta anche la velocità dell’impatto e la durata: contasse solo il peso i proiettili non farebbero alcun male, pesano solo 9 grammi”.
Punizioni, maledette. Che siano a effetto a rientrare, a cucchiaio, a foglia morta o d’esterno ogni volta che viene calciata una punizione sono implicate complesse spiegazioni fisiche che spiegano come mai la palla va a finire a segno dopo essere passata sopra la barriera o a fianco. È l’ effetto Magnus, studiato dall’omonimo scienziato tedesco per spiegare le variazioni della traiettoria di un corpo rotante in un fluido in movimento.
Alla palla viene impressa non solo una forza traslatoria (che la fa andare verso la porta) ma anche rotatoria e questa determina la portanza del pallone che vola in aria un po’ come fanno gli aerei. A determinate velocità e con particolari forze rotatorie impresse alla sfera (icosaedro), questa subisce forze di galleggiamento e improvvise accelerazioni che ne rendono insidiosa e più imprevedibile il tragitto. Andrea Pirlo ha reso un suo marchio di riconoscimento un particolare tipo di punizione ad effetto, ‘la maledetta’ in cui la forza rotatoria anziché verso destra o sinistra viene data dall’alto in basso, e i portieri sembrano ubriachi a passeggio, ma l’ubriaca è la palla. Infine una tra le tante curiosità raccolte da Ludwig nel suo libro. La punizione più veloce di cui si ci sia traccia è quella calciata da Ronald Koeman (giocatore del Barcellona) nella finale di Coppa dei Campioni del 1992 contro la Sampdoria: 188 km/h. Pagliuca non ha colpe. Per consolarsi forse gli farà piacere sapere che se Koeman avesse tirato a piedi nudi, la palla sarebbe stata ancora più veloce: la teoria degli urti insegna che il coefficiente di restituzione (la forza impressa alla palla dall’urto col piede) è ridotto dall’interferenza di cuoio, stringhe e calzettoni. Sarà per questo che il regolamento non lo consente? Gli ultimi mondiali (Qatar 2022) ci hanno ufficialmente consegnato anche palloni ricaricabili che hanno bisogno, oltre del consueto gonfiaggio ad aria, anche di essere collegati ogni sei ore a una presa USB. Produttore: Adidas. Il pallone ufficiale è stato Al Rihla, un termine che in lingua araba indica “il viaggio”. Prodotto utilizzando esclusivamente inchiostri e colle a base d’acqua, Al Rihla è uno dei palloni dei Mondiali più ecologici di sempre.