Il monotipo classico Dragone compie 95 anni

Una spettacolare classe velica che è sempre presente ad ogni stagione a Sanremo, Imperia, Alassio ed Andora

0
204

 

Quest’anno compirà 95 anni, ogni anno se ne costruiscono almeno una cinquantina nei tre cantieri che ancora oggi lo realizzano: è il Dragone una delle classiche barche storiche della vela mondiale. Al campionato del mondo, che si svolge negli anni dispari, partecipano sempre una ottantina di imbarcazioni. Negli anni pari si tiene invece il campionato europeo, con un numero inferiore di barche. Una flotta spettacolare partecipa regolarmente ogni settembre alle Règates Royales di Cannes, mentre a Sanremo, Imperia, Alassio ed Andora, i Dragoni sono di casa con appassionanti gare ad ogni stagione. Questa stupenda imbarcazione, il monotipo a chiglia più diffuso al mondo, nacque nel 1929: a progettarlo il norvegese Johan Anker. Lunga 8 metri e 90, dal peso di 285 chilogrammi, facilmente carrellabile, venne costruita inizialmente in legno e per sei edizioni venne scelta come classe olimpica, dal 1948 al 1972. Adatta per 3 4 persone, solo a partire dal 1970 si è cominciato a realizzarla anche in vetroresina. Attualmente i Dragoni nel mondo sono oltre 6 mila, e le flotte nazionali più di 30. In Italia l’associazione italiana di classe venne fondata nel 1989 e quest’anno compirà 35 anni. Il cantiere di riferimento per tanti dragonisti è la Sibma Navale di Imperia di Mario ed Andrea Quaranta, che sono anche due validissimi regatanti in classe Dragone, con un palmares di tutto rispetto grazie al loro Little Diva (Dragone del 2010). Deus ex machina dell’attività è “Tonino” Antonio Viretti,  Genovese, classe 1936, ex dirigente del settore farmaceutico e grande velista, che ha sempre regatato sul suo Dragone “Fanfouette”, presidente della classe velica italiana e responsabile della comunicazione della FIV in Primazona. Oltre ai Quaranta ed a Viretti ci sono tanti  campioni di questa classe velica che difendono i colori italiani: fra questi vanno citati Diego Negri, Giuseppe Duca e Beppe Zaoli.

                                                                        CLAUDIO ALMANZI