Noi sessantenni, o anche con qualche anno in più, ci portiamo a ricordare la Milano-Sanremo del 1990, quella che vide l’arrivo solitario di Gianni Bugno. I ragazzi del muretto, quelli che aspettavano la corsa davanti a Palazzo S. Giorgio e Palazzo Genova, una volta chiamate le Torri Gemelle di Alassio, sono cresciuti e si sono persi di vista. Alcuni nonni, come Manuelin, o padri che ci accompagnavano ci hanno lasciati, altri preferiscono la TV che adesso trasmette una lunga diretta. E allora chi scrive, a quei tempi cronista del Secolo XIX, decide di andare a seguire l’arrivo a Sanremo. Salito sul palco mi imbatto su un Adriano De Zan su tutte le furie perché, per motivi di spazio, è saltato il collegamento nel Tg1 delle 13,30. Non sono tempi felici per lo sport sulla RAI, adesso che gli eventi non sono più gestiti dai TG ma da una Testata Autonoma. Ma poi il pensiero vola su Gianni Bugno, che si rende autore della fuga decisiva negli ultimi 20 chilometri, aumentando sempre il suo vantaggio. Gianni è idolo di gran parte della folla che accompagna i corridori negli ultimi 500 metri. Una vittoria monumentale per il corridore più ermetico, quello che cancella i ricordi del passato. Di poche parole e di tanti fatti Gianni vincerà poi a maggio il Giro d’Italia, conservando la maglia rosa dalla prima all’ultima tappa. Dei pomeriggi magici, prima delle Notti Magiche di Italia ’90 con il suo triste epilogo della Nazionale Azzurra in semifinale.