Chissà quanti nostri lettori ricordano, come me allora bimbo, quel pomeriggio di settembre del 1969 quando il Santos, con Pele’ che era il suo Re, venne a giocare a Marassi affrontando una squadra mista formata da giocatori di Sampdoria e Genoa. Avevo 8 anni, ma già non mi perdevo niente di quelle poche partite che la RAI, allora in monopolio, trasmetteva con la magia unica del bianco e nero. Ricordo che mio padre, attraverso Silvio Gallo, grande tifoso del Grifone, trovò due biglietti in modo che io e mio nonno Emanuele potessimo assistere in tribuna a quel pomeriggio. Noi due come altri non eravamo interessati alla partita, al risultato, ma a focalizzare le attenzioni sul Re, su Pele’ che in quel 7-1 mise due volte il suo autografo. Per novanta minuti tutto lo stadio, gremitissimo, poso’ gli occhi su di lui ammirando le sue giocate, i suoi dribbling, la capacità di elevarsi in alto per colpire di testa. Fu un grande pomeriggio che ieri sera, alla notizia della sua scomparsa, mi è tornato, e chissà a quanti, improvvisamente di mente, con dettagli che non sono mai stati rimossi. Ricordo anche che mio nonno, sul treno del ritorno, disse più volte che Artista questo Pele’. Non usò mai la parola giocatore, ma Artista, un termine di prestigio che si conferisce ai grandi di ogni settore, dal teatro al cinema,dalla musica alla pittura. Artista per distinguerlo, per separarlo dagli altri, che anche con bravura esercitano quel mestiere. E ieri l’Artista ci ha lasciato, quasi in silenzio, come fanno spesso i grandi. Perché sanno che quello che hanno donato al pubblico non si cancellerà anche quando si è chiamati a giocare un po’ più in alto.