Tutti lo portiamo nel cuore per le emozioni che ci ha regalato nel corso della sua lunga carriera. Grande uomo di sport, in campo prima (portiere freddo e calcolatore che trasmetteva un’enorme sicurezza) e come allenatore, dirigente, commissario tecnico della nazionale poi. Amato da tutti gli appassionati per la sua classe e la sua signorilità, non certo solo dai tifosi delle sue squadre (Napoli e Juventus, in primis, Udinese e Mantova a seguire), Zoff ha unito con le sue parate (se pensiamo a quella con il Brasile che a poco dal termine neutralizzò l’incornata di testa di Oscar, ci vengono ancora i brividi) un intero Paese, divenendo per sempre emblema insieme a Bearzot dell’Italia campione del Mondo in Spagna nel 1982. Una volta si diceva che la vita comincia a 40 anni. Ma per lui a 40 anni, a metà esatta del suo cammino, una favola era diventata la più bella delle realtà. Anzi: una realtà già sorretta da tanti risultati (quelli che spesso ribadisce essere importanti) era diventata una favola… Ed effettivamente quel Mondiale ( a cui noi savonesi siamo così legati per via del miglior presidente di sempre Sandro Pertini nostro compaesano di Stella) è stata davvero una favola, dall’inizio stentato e chiacchierato, poi sempre più travolgente, fino all’ultimo atto vittorioso del Bernabeu. «Mi sforzo di capire i giovani di oggi, ma faccio fatica. Come loro non riescono a capire la mia adolescenza, scandita dalle stagioni per giocare all’aperto. Il massimo della trasgressione era saltare in un campo per mangiare qualche frutto maturo, ma guai se papà se ne accorgeva. Dovevo subito restituire quanto preso» ha recentemente dichiarato il nostro campione che oggi 28 febbraio 2022 soffia su 80 luccicanti candeline. «Le cose si dicono una volta, l’insegnamento poi sta nella testimonianza che dai. I ragazzi devono capirlo. A casa mia l’educazione era nell’aria. Certe cose intuivi da te che non si potevano fare. Ora si tende a proteggerli i giovani, pure troppo. Sembrano padroni del mondo con i loro strumenti tecnologici, invece temo che conoscano poco la vita reale. Per educazione io ho sempre preso più responsabilità di quelle che avevo. Sono stato autocritico, ero abituato ad avere tanti doveri, oltre i diritti»ha poi continuato. Dino Zoff era l’uomo buono, che parlava poco, su questo non v’è dubbio alcuno. Uno che era nato in tempo di guerra, e su un territorio che non era certo dei più comodi. Origini tedesche a sentire i diretti interessati, ma in realtà quel cognome pare essere arrivato dalla Bulgaria. Poco male: la tempra era friulana doc, il fisico asciutto e slanciato, lo sport una specie di vocazione che pure impiegò anni prima di dargli una risposta su ciò che avrebbe voluto fare da grande. Alla fine le strade sconosciute della vita, quelle da percorrere senza navigatore, lo condussero in mezzo a due pali di legno. Andò in porta non per scelta o vocazione, ma perché in quel momento era la cosa che gli venne più naturale. Anche momenti di nostalgia sta vivendo in queste ore perché al suo fianco non ci sono a far festa Gaetano Scirea (il vero soldato di quella magica impresa) e Paolo Rossi (l’eroe di Spagna, capocannoniere), suoi grandi amici.